Iniziò a ballare, trascinata da chi le voleva bene da tempo immemorabile e che la conosceva senza davvero immaginare chi fosse. Nel locale in cui aveva scelto di trascorrere un sabato sera grigio e umido, uno dei peggiori di quell’autunno finalmente, necessariamente bagnato, in quel posto non vi era mai stata prima ma ne aveva respirato il desiderio di accoglienza.
E prese a ballare, inondando di sé parte della sala, lei così minuta e fragile ma al tempo stesso capace di dire: basta.
Immersa in sé stessa, ebbe il sentore di mani sui fianchi, di mani che salivano e le alzavano dolcemente le braccia fino a portarle sopra la testa, fino a dare della sua danza una versione da gran ballo di fine secolo. Assaporava ogni movimento del suo partner e del corpo che rispondeva all’invito galante.
Assaporava pure il ricordo di altre mani, che nel semilucore della sua stanza la portavano a considerare l’idea di essere irrimediabilmente perduta, mentre godeva.