Nec longum tempus

Presentire il gelo come l’ultimo baluardo.
Tornare a crederne l’esistenza, passeggiando lungo i crinali della montagna dai fiori già sbocciati.
Allentare la presa del tempo senza che esso possa correre a perdifiato verso l’orizzonte.

Vi saranno altre albe.
E abbracci.
E pupazzi, in grande quantità.

Abbi pazienza, creatura uscita da un sogno di ritorno.
Il meglio sarà la materia di cui è fatto il mondo.

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Il meglio dell’estate

Con il passare degli anni la percezione dell’estate si è fatta sempre più complessa e disarticolata, annunciando una propaggine nei mesi del calendario che la precedono, come un fusto insidioso, sotterraneo e molesto, oppure allungando le proprie ombre fino all’età aurea delle foglie caduche.
Il mistero che ha circondato l’infanzia delle mie estati, scrutando l’orizzonte meridionale in cerca di tracce dell’esistenza adulta, soffocata dalla calura e dal bagliore senza confini del sole nudo, ha lasciato poco alla volta il posto a un grido di sofferenza diffusa, lenta e penosa, che mi ha informato sul rovescio delle cose e della loro inerzia.
L’estate preparava l’amore, addirittura in sua presenza. Mentre tutti si innamoravano, io lasciavo al tempo fare il paziente lavorìo della solitudine che raggiunge la dismisura per poi trovare di nuovo il lago immacolato della prima volta.

L’estate che sto attraversando, con i suoi interminabili vicoli e calli, le sue peripezie intorno al vuoto degli spazi cosmici, le sue ripartenze, insperate, a onta del fatto che il tempo rovina inesorabile, questa estate è stata presa alla sprovvista da un’altra stagione e ora, finalmente, ne attendiamo la parte migliore.
Il meglio dell’estate.

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I binari, la letteratura

Prestai un libro a una ragazza,
una volta. Per non doverlo
rivedere mai più.
È lo stesso quando si giunge
a scorgere i binari e del viaggio
si immagina tutto; del treno,
nulla.

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La primavera, anni dopo

Tutto ciò che è stato scritto fino ad oggi non è altro che la prima parte del libro. Seguirà un lungo capitolo che indicherà la via verso la seconda avventura: in esso verrà in luce il passaggio contenuto nelle vicende passate, non ancora giunte al tramonto.

Di ciò che viene sentiremo risuonare l’eco della data di scadenza. Meglio, il lamento angoscioso che dice la fine, il suo farsi prossimità, furia e quiete.

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Miopia

Guardando le persone che camminano o passeggiano lungo la via ho creduto di impazzire. Poco alla volta ne apprezzavo i movimenti del corpo, le andature sempre nuove, fino al giorno in cui ho cominciato ad esserne perseguitato, come da fantasmi. Ovunque mi trovassi credevo di riconoscere qualcuno, un viso noto, un paio di occhiali fuori moda, un collo reclinato in quel modo unico che tenevo celato nei miei ricordi fin dalla giovinezza. E invece no: erano solo e sempre andature, una legione di movimenti che citava se stessa, incessantemente, fino a vorticarmi nel cuore.

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In procinto di svolta

Il miracolo della libertà inizia intimidendo un cuore stanco. Si manifesta nell’abisso della coincidenza e toglie la scena alle abitudini. Fino al punto in cui ci dichiara ciò che siamo: una parola, in procinto di svolta.

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Una meravigliosa insidia

Ciò che muta, muta. Senza riguardo né pietà. Ciò che muta, ammutolisce il nostro essere disposti a credere che avvenga, il mutamento, per un afflato cosmico. Ciò che muta ci consente di mutare, nella perseveranza dei nostri gesti.

Una meravigliosa insidia.

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Abissi

Questo scorcio di tempo si è ricordato dell’esistenza dei nostri due abissi.

Un vortice interiore in cui mulinano immaginazione, sensualità e irrequietezza.
Un altro si espande fino all’immenso spazio circolare che conosciamo come mondo.

E così si terranno per mano il cielo silenzioso che sta a occidente con la nostra morsa vitale.
E dormiremo insieme o non dormiremo affatto, in attesa che l’alba porti con sé tutto il buio di cui è capace.

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Se solo sapessi

Iniziò a ballare, trascinata da chi le voleva bene da tempo immemorabile e che la conosceva senza davvero immaginare chi fosse. Nel locale in cui aveva scelto di trascorrere un sabato sera grigio e umido, uno dei peggiori di quell’autunno finalmente, necessariamente bagnato, in quel posto non vi era mai stata prima ma ne aveva respirato il desiderio di accoglienza.
E prese a ballare, inondando di sé parte della sala, lei così minuta e fragile ma al tempo stesso capace di dire: basta.

Immersa in sé stessa, ebbe il sentore di mani sui fianchi, di mani che salivano e le alzavano dolcemente le braccia fino a portarle sopra la testa, fino a dare della sua danza una versione da gran ballo di fine secolo. Assaporava ogni movimento del suo partner e del corpo che rispondeva all’invito galante.

Assaporava pure il ricordo di altre mani, che nel semilucore della sua stanza la portavano a considerare l’idea di essere irrimediabilmente perduta, mentre godeva.

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Il grande fiume

Manchiamo senza accorgercene e senza che si dia scampo al tempo il grande fiume che vi è nel mezzo.
Lo osserviamo scorrere, da entrambe le sponde, dandogli le spalle.
È la sua proiezione che ci affascina, tradendo a nostra insaputa tutte le faccende dell’io.

Manchiamo da lì.
Ma la terra vi frana.

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